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Siamo tornati in Congo con un grande desiderio: che più bambini possibile
possano salvarsi dal rischio di diventare bambini soldato e possano tornare a scuola
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"La notte che abbiamo passato a Burhale, sono andato fuori dalla casa della parrocchia
dove dovevamo dormire. La notte silenziosa copriva le dolci colline attorno. La luna
quasi piena illuminava il paesaggio. Che silenzio, che quiete… Quanto è bella questa terra!
Stavo pensando a tutta quella gente incontrata durante il giorno, a quella piccola folla radunata
fuori dal cancello di questa casa, a tutti quei bambini. Ora tutti erano tornati nelle loro capanne,
forse proprio adesso dopo aver spento il fuoco si stendevano sul pavimento di terra per dormire.
Che silenzio la notte qui tra i villaggi di Burhale! Pensavo alle tante storie ascoltate, ai volti di
quelle donne, al centro di sanita’, al bambino che chiedeva continuamente: “ho fame”…"
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La prima sorpresa...
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Baracche, sorrisi, fango, natura incontaminata. E poi fogne a cielo aperto, bambini con il volto già adulto, sguardi ad ogni passo diversi...
... e dentro di me una rivoluzione, pensieri e sentimenti in lotta... quello che è nato in me in quei giorni, è un grido che cresce, è la certezza
che la pace e la giustizia devono partire da ognuno di noi.
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"Siamo rimasti un po’in silenzio a guardare la luna, ad ascoltare
i piccoli rumori di qualche uccello notturno; io gli stringevo la spalla con una mano in segno
di affetto. Dopo un po’, Joseph mi prende la mano e comincia a parlare: “Te l’avevo detto
che Dio ci amava! Visto che sole oggi? Ce l’abbiamo fatta. Siamo a Burhale per passarci
la notte. Dove tutti scappano e nessuno da Bukavu si sognerebbe di venire.
Voi siete qui! Grazie”. E dopo il suo sorriso sonoro, cambia espressione, diventa triste,
guarda davanti a noi e dice: “ "“ Vedi quelle colline? Là, a cinque chilometri da qui ancora
la gente scappa. Ci sono i ribelli tra quelle foreste, lì ci sono i minerali. Così ogni giorno la
popolazione lascia i villaggi per andare a dormire nella foresta, per nascondersi, per paura
dei saccheggi e delle violenze. Ogni notte! Per poi tornare la mattina alle proprie case.
Oh! là c’è la miseria! Hanno veramente fame. Non possono coltivare la terra. Là c’è
la paura! Sono abbandonati da tutti…"
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poi si diventa amici...
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Quello che l'Africa mi ha lasciato è impresso sulla mia pelle... è la voglia di non rassegnarsi ! E ho dentro tutta l'urgenza di chi ha
davanti un malato... e i dubbi che forse il malato vero sono io. E vorrei gridare a tutti quelli che quà si arrendono, che si può sperare
di guarire insieme.
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